ASCESA E DECLINO DELLA SCUOLA DIGITALE
ASCESA E DECLINO DELLA SCUOLA DIGITALE
L’ultradecennale dibattito sul rapporto fra educazione e tecnologia (intesa nel senso digitale: anche la matita è tecnologia) può essere sommariamente diviso in tre fasi. Prima fase: entusiasmo indiscriminato. Riempire le classi e le vite dei bambini di schermi, cloud e di qualunque strumentazione che verrà, li renderà più adeguati ai tempi e più performanti. Senza contare gli effetti rivoluzionari che questo produrrà nelle scuole pubbliche più svantaggiate, nelle aree disagiate ecc. In questa fase si teorizza la naturale convergenza tra i benefici cognitivi soggettivi, il progresso sociale e i profitti delle grandi aziende tecnologiche. La seconda fase è quella del moderato scetticismo. Alcuni esperti, soprattutto nella Silicon Valley, iniziano a dubitare che l’esposizione alla tecnologia e l’uso sbrigliato dello screen time sia un buon affare per un equilibrato sviluppo delle menti più giovani. Emergono, in questa fase, scuole d’elite con bassissimo uso di strumenti digitali, popolate soprattutto dai figli degli ingegneri che sviluppano e commercializzano quegli stessi strumenti.
Sanno cosa producono e decidono di non darne ai loro figli. In questa fase, tuttavia, rimane intatta l’idea che le scuole altamente digitalizzate generino performance migliori degli studenti nei test standardizzati. L’idea è: forse la tecnologia non è un toccasana per l’educazione, ma trasmette competenze e sviluppa le capacità cognitive sulla base delle quali gli alunni vengono valutati. La terza fase è quella in cui anche quest’ultima certezza viene messa in discussione, cosa che getta un’ombra sui pluriennali investimenti miliardari delle scuole di tutto il mondo su prodotti che hanno fatto la fortuna di molte aziende che diffondono il verbo della tecno-educazione, a cominciare da Google, che controlla il 60 per cento del mercato americano in materia. E’ un momento di riflusso dopo gli anni dell’entusiasmo.